Ciao, sono Gianni.

Questo lavoro mi rappresenta perchè credo nell'impegno e nell'offrire il meglio a tutti.


Questo blog l'ho pensato per impegnarmi e non per distrarmi!



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Il mio motto:
'Io t'insegno tu m'insegni! Done!'

venerdì 10 dicembre 2010

Is Michele !

"Is Michele"...mi ha detto un bambino di classe prima elementare, i primi giorni di scuola, quando gli chiesi di dirmi il suo nome, un po' per gioco e un po' per lavoro, perché indagavo se gli alunni possedessero delle conoscenze in merito, date od ereditate da non importa chi.
Le parole "Is Michele" sono state la risposta alla domanda di 'rito' offerta da me nei dialoghi inglesi di debutto scolastico su ciò che l'alunno di prima elementare apprende in modo indotto dall'ambiente dove vive.
Questa risposta, autentica e spontanea, significa molto e porta messaggi metodologici di grande interesse didattico e pedagogico sull'apprendimento di una lingua straniera da parte dei bambini linguisticamente italofoni e di madre lingua italiana. La lettura della risposta data evidenzia subito un errore morfosintattico della costruzione della frase inglese. E' evidente l'assenza del soggetto che nella morfologia della frase inglese è obbligatorio porre. Nessuna colpa per l'alunno. E' evidente che qualcuno gli ha insegnato tale risposta proponendogli una frase sgrammaticata. Non saprei affermare se coscientemente o no. Ma c'è una osservazione ulteriore di carattere linguistico: la struttura grammaticale data 'is Michele' corrisponde perfettamente alla struttura italiana 'è Michele' ed è ad essa sovrapponibile. Questa evidente identità strutturale (ausiliare più nome) mostra un meccanismo logico e psicologico operato dall'alunno non volontariamente ma con automatismo: all'assenza di correttezza grammaticale (data forse dall'educatore del bambino al bambino stesso) il pensiero operante ha risposto ponendo, trasportandole nella lingua inglese, le regole della grammatica italiana. Questo senza mettere in dubbio se la frase data sia corretta o meno. Però la frase 'funziona' cioè raggiunge lo scopo che il parlatore vuole raggiungere e questa pratica è confortata dall'ascoltatore del bambino che non mette in dubbio la correttezza della frase accettandola come 'corretta' perché 'funzionante'.
Voglio mettere in evidenza la 'pragmaticità' della scelta fatta: il testo composto ha i requisiti di una frase di senso compiuto. Questo vale soprattutto per il bambino. Ma l'adulto ascoltatore (o, presumibilmente, genitore) non nota l'errore che invece noterebbe un genitore madrelingua anglofona.
Due domande: perché il bambino non ha risposto dicendo 'It is Michele!', come presumibilmente gli avranno insegnato? Poi, perché non ha risposto semplicemente con 'Michele!' ?. La prima risposta possiede le caratteristiche di testo coerente e coeso alla domanda da me espressa. La seconda è sintetica ma anche sincretica e possiede le stesse caratteristiche logiche della prima e la caratteristica della frase infantile (descritta da J. Piaget, 1966) di 'parola-frase' rappresentativa del pensiero infantile in età evolutiva.
Il pensiero infantile e quello adulto sono coincidenti nell'uso pragmatico della comunicazione. Si mette in moto un meccanismo, un automatismo mentale (realismo, J.P. 1966) affermante che se il testo espresso nella lingua italiana ( è Michele) rispetta le regole della morfologia italiana, il testo della frase inglese espresso da quel bambino (is Michele) avrà i requisiti della correttezza, a sua volta.
Un' ulteriore prova della pragmaticità della frase (seppur sgrammaticata in inglese) sta nel fatto che il ritmo della frase italiana e quello della frase inglese è lo stesso: A+B = verbo+nome.
La necessità che l'inglese ha di porre sempre il soggetto, in questo caso il pronome 'it' , non coincide con la necessità che esprime l'italiano cioè l'italiano può non porre il soggetto nella formazione della frase in quanto le voci verbali italiane sono diverse per ogni persona del verbo in tutta la coniugazione dei verbi. L'Italiano parlato non ha bisogno di affermare il pronome soggetto: 'dico' e 'io dico' sono testi diversi ma con lo stesso valore comunicativo pur rimanendo entrambi voci verbali della prima persona singolare del verbo 'dire'.
L'Italiano, in quanto lingua d'ambiente sociale di contesto e di vita primaria, esprime un dominio linguistico sulla lingua straniera con immediatezza e semplicità.
L’osservazione offre degli esempi sperimentali di interesse psicologico su come il pensiero operi di fronte alle novità ed alle diversità portate dalla lingua altrui, degli altri ceppi linguistici, con cui viene a contatto, soprattutto nell'ambito educativo e nell'ambiente scolastico.


All'insegnante spetterà il compito di smontare i condizionamenti sociali operanti in favore della formazione corretta della lingua straniera nell’alunno italiano ma anche di rinforzare la corretta costruzione del pensiero nella lingua nazionale italiana.